La giornata di un malato degente, in una struttura sanitaria, inizia presto con i prelievi e le prime
medicine.
Seguono le visite, gli esami, gli accertamenti diagnostici, le terapie.
Sono le cure fondamentali.
Negli orari consentiti arrivano i parenti e gli amici (se ci sono).
E’ il tempo della conversazione, per scambiare informazioni miste ad incoraggiamenti,
preoccupazioni, saluti.
Rimasto solo, il malato, nel silenzio, dentro di sé, analizza la propria situazione esistenziale; talvolta
è più fiducioso.
Qualcuno cade invece nello sconforto.
E’ preso da un grave pervasivo male dell’animo.
Chi svolge volontariato come me, presso una nota Azienda Opedaliera Bresciana riconosce
facilmente i segni nel malato: il capo reclinato sul cuscino, gli occhi serrati o lucidi o spalancati sul
vuoto, il corpo raggomitolato sul fianco, le mani serrate fra loro.
E’ l’affluire della sofferenza interiore.
E’ il momento in cui il volontario può dare il suo aiuto più significativo: il conforto dell’ascolto.
Per il malato è meno difficile confidare ansie e timori ad una persona esterna al proprio nucleo
familiare.
Esprimere il malessere dà sollievo, se chi riceve lo sfogo è attento e solidale, senza intromettersi.
E’ visto quasi come un conoscitore della sofferenza, poiché la incontra ogni volta che presta
servizio nei reparti e riesce a capire la fragilità e l’angoscia.
Per chi è solo, il volontario può diventare un amico fraterno, entrando con cautela nella giornata del
paziente, per aiutarlo a reggere il peso della malattia, specialmente quella dell’animo.
Massimo Ughini
già Consigliere Circoscrizione Brescia-Est Partito Democratico